E&M

2011/1

Gianni Canova Severino Salvemini

Greed is good?

Gordon Gekko è tornato. A ventitrè anni di distanza da Wall Street, Oliver Stone torna a raccontare il mondo della finanza in un crudo affresco del capitalismo nei giorni più bui della crisi dell’economia globale: è Wall Street - Il denaro non dorme mai.

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Wall Street - Il denaro non dorme mai

Regia: Oliver Stone

Interpreti: Michael Douglas, Shia LaBeouf

USA, 2010

 

Greed. Rapacità. Così, nel 1924, il regista Eric von Stroheim intitolava un suo film “maledetto” – ridotto e tagliato dalle nove ore iniziali alla versione di poco più di cento minuti poi messa in commercio – che trovava proprio nella “rapacità” la chiave di lettura della società paleocapitalista degli inizi del Novecento. Oggi, a quasi novant’anni di distanza, il regista Oliver Stone si chiede, poco dopo l’inizio del suo Wall Street - Il denaro non dorme mai: “Is greed good?”. Siamo ancora lì. Ancora e sempre lì: dove le sorti del capitalismo si sposano con quella “rapacità” che secondo alcuni sarebbe una sua componente costitutiva e secondo altri, invece, una sua deviazione patologica. Gordon Gekko (Michael Douglas), il protagonista del film, certo nella sua vita è stato rapace: erano gli scintillanti anni ottanta (ed era anche un altro film, Wall Street del 1987) e qualunque cosa toccasse diventava oro.

Ora i tempi sono cambiati. Nel 2001, quando lascia il penitenziario federale dopo aver scontato una pena per frode finanziaria, riciclaggio e traffici illegali, Gordon Gekko sembra un uomo diverso. Non è più il signore e padrone di Wall Street, ha la barba mal rasata e i capelli in disordine. Nessuno lo sta aspettando, né la figlia Winnie, che non vuole più saperne di lui, né tanto meno qualcuno dei suoi ex colleghi di Wall Street. Ma sette anni dopo, nel 2008, al termine di una sua conferenza all’università, Gekko viene avvicinato proprio dal ragazzo (Shia LaBeouf) di sua figlia, giovane e idealista intermediatore finanziario, convinto dell’opportunità di investire in energie pulite invece che in titoli tossici, che gli chiede di aiutarlo a capire meglio i meccanismi oscuri e spesso indecifrabili della guerra in atto nella finanza mondiale a ridosso della drammatica crisi esplosa, appunto, due anni fa.

Gekko non aspettava altro, accetta l’invito del ragazzo e rientra a modo suo nell’agone finanziario. Non era facile fare un film sulla crisi strutturale del capitalismo esplosa a livello globale nel 2008. Oliver Stone ha il merito di averci provato, di aver cercato di trasferire in racconto meccanismi complessi e spesso non facilmente visualizzabili come quelli che governano il mercato finanziario. Con quali effetti sull’immaginario collettivo e sulla percezione dei fatti da parte dell’opinione pubblica? Ne discutono, come di consueto, Severino Salvemini e Gianni Canova.

 

S.S. A me pare che in questo sequel di Wall Street ci sia perfino meno speranza che nel primo. È come se Oliver Stone ci dicesse che la crisi non è stata moralizzatrice e che la cultura di fondo non è cambiata, è rimasta quella della frode. Alla fine degli anni ottanta Gekko era il rampante prototipo dello yuppismo e dell’avidità reaganiana, ora incarna invece l’incapacità di quelli come lui di autoriformarsi e di resistere alla sirena del denaro…

 

G.C. Però all’inizio del film sembra un uomo “redento”. In prigione ha osservato senza distorsioni la crescita della finanza dopata degli anni novanta e poi del nuovo millennio, con l’eccesso di leva finanziaria, con i titoli tossici e i mutui subprime che stanno portando il capitalismo al collasso, e il suo libro parrebbe voler essere un campanello di allarme per una umanità che viaggia sul bordo di un baratro senza rendersene conto…

 

S.S. È vero. Alla conferenza in università dice ai bankers di Wall Street, in modo duro e diretto, che la recessione americana e globale porterà a tre “no” dai drammatici effetti: no work, no revenues, no future… Ma Gekko non è né pentito né folgorato sulla via di Alcatraz. Alla prima occasione finisce per ricadere nella trappola della stangata: tra il finanziere d’assalto e l’idealista moralizzatore, vince sempre il primo. In fondo – se si esclude il finale posticcio e troppo sbrigativamente “buonista” – Gekko continua a credere che “greed is good”.

 

G.C. Tutto ciò fa parte però delle caratteristiche drammaturgiche del personaggio. Se un narratore – e Olivers Stone lo è – decide di riesumare a più di vent’anni di distanza un personaggio come Gekko, non può alterare più di tanto i suoi tratti connotativi. Anche perché Gekko era stato percepito sin dal primo Wall Street come un bad hero, come uno speculatore cinico e rapace ma non privo di un suo fascino oscuro, e come tale riappare anche ora sullo schermo. Il problema è, caso mai, se una figura come Gekko sia utile a capire la crisi di questi mesi almeno quanto era stata illuminante in qualità di simbolo rappresentativo della speculazione finanziaria degli anni ottanta…

 

S.S. Da questo punto di vista, mi pare che Wall Street - Il denaro non dorme mai metta in evidenza meglio che il primo Wall Street il ruolo centrale della comunicazione e dell’informazione nella genesi dei processi di inside trading e di speculazione. L’attività principale degli speculatori sembra consistere nel mettere in circolazione voci. Non importa se siano vere oppure no. Quel che conta è far circolare panico, paura. I dollari dopati come steroidi vengono di conseguenza.

 

G.C. Certo. I rumors sono il primo strumento di produzione della speculazione. Si tratta di distruggere il prestigio, di far temere il peggio, di generare in modo sistemico e fraudolento processi di caduta della fiducia. Lo si vede molto bene, nella prima parte del film, in tutta la vicenda che porta al suicidio di Louis Zabel, il rispettabile amministratore della Keller Zabel Investments, distrutto da un crollo in borsa generato prima di tutto da un repentino crollo di credibilità realizzato – appunto – attraverso una strategia sistematica di diffamazione. O meglio: è la tattica del si dice, dell’indiscrezione messa in giro ad arte, della diffamazione sistemica sussurrata. I criminali dell’altra finanza, sembra di capire dal film, sono prima di tutto manipolatori dell’informazione…

 

S.S. È una lettura interessante. A patto di aggiungere che poi sono anche manipolatori di ricchezze e di denaro. La “diceria” e la menzogna sono solo gli strumenti preliminari per generare condizioni che consentano agli squali del gioco d’azzardo di mettere a frutto i loro assalti…

 

G.C. A me ha colpito molto la lucidità con cui Oliver Stone e l’autore della sceneggiatura, l’ex trader Allan Loeb, rappresentano un sistema che ormai gioca così sporco da farsi male da solo. Un trader furioso a un certo punto arriva a pronunciare nel film la parola contro cui ha combattuto tutta la vita: socialismo. È impressionante come il sistema descritto da Stone finisca per invocare quei provvedimenti (aiuti pubblici, patti di solidarietà, prestiti agli Stati in default, addirittura nazionalizzazione delle banche) per combattere i quali tutto è cominciato… Da Wall Street - Il denaro non dorme mai si esce come con l’impressione che il sistema non abbia altra possibilità di sopravvivenza che rovesciarsi nel suo opposto. Ma forse è solo la sensazione che prende chi, come me, non fa di professione né l’agente di borsa né il mediatore finanziario.

 

S.S. Io vorrei chiudere ricordando che nel film c’è un personaggio secondario che però svolge un ruolo centrale. È la madre di Jake, interpretata da Susan Sarandon: un’agente immobiliare che vive molto al di sopra delle sue possibilità e che salta di ipoteca in ipoteca indebitandosi in modo disastroso. Mi sembra che in lei Stone rappresenti l’altro polo della crisi finanziaria: l’irresponsabilità individuale come incarnazione e prodromo di una più diffusa e pervasiva irresponsabilità sociale.