Articolo 3

09/05/2018 Zenia Simonella

Riappropriarsi del tempo libero

Il Corriere della Sera ha pubblicato recentemente una notizia sull’iniziativa di tre aziende – Corona, Discovery Channel, Microsoft – che hanno promosso un «tempo libero remunerato». Come descrive l’articolo, le tre aziende «pagheranno» 500 dipendenti per staccare la spina. Qualche ora d’aria sotto alle torri in piazza Gae Aulenti, dal tramonto a sera. Tutto sarà concesso: passeggiare, fare yoga, leggere, godersi un massaggio tra le fontane e i grattacieli o bersi un aperitivo con tanto di concerto dal vivo (tutto offerto). Una sorta di flash mob con inno all’happy hour intesa come pausa anti-stress, il più possibile libera e felice». Questa iniziativa, salutata con (eccessivo) entusiasmo, offre l’occasione per riflettere sul rapporto tra tempo di lavoro e tempo libero.

Com’è noto, questa distinzione risale alla Rivoluzione Industriale. Nell’antichità, infatti, esisteva sì un tempo «libero», ma esso era riferito al tempo dedicato alla riflessione, allo studio, e più in generale ad attività che nobilitavano lo spirito. Per i greci la σχολή era il tempo liberato dalle attività necessarie alla vita (non certamente il tempo dopo il lavoro); e così l’otium latino il tempo dedicato alle attività liberali. Il significato di questo tempo «libero» cambia nel corso del tempo: la divisione tra tempo libero e tempo di lavoro, che è anche in parte la nostra concezione del tempo, ha origine nell’Ottocento con la Seconda Rivoluzione Industriale, quando si istituzionalizza il tempo di fabbrica. Non a caso, è l’epoca in cui nasce il tempo «oggettivo», «misurabile» per favorire gli scambi commerciali e le attività industriali: la prima Conferenza internazionale dei meridiani si tenne a Washington nell'ottobre 1884 per decidere il meridiano fondamentale sia per il calcolo della latitudine sia per il calcolo dei fusi orari (prima esistevano tempi diversi in base alle località).  

La scansione del tempo di lavoro e del tempo libero (stavolta libero dal lavoro di fabbrica) sancisce la divisione netta tra sfera lavorativa e sfera privata. Il tempo libero diventa un tempo di svago e, poi, sempre più un tempo di consumi: Marx direbbe un tempo a servizio del mercato. Questa divisione, che ancora permane, viene affiancata da un’altra idea di tempo che è stata promossa su impulso dello sviluppo delle tecnologie e, poi, dalla recente diffusione della pratica del lavoro agile (quando è portata alle sue estreme conseguenze): è il tempo «unico lavorato» che ha rotto la tradizionale divisione tra le due sfere; essa, in fondo, tutelava lo spazio di libertà del lavoratore, per quanto lo rendesse rigidamente vincolato ai ritmi di un ufficio o di una macchina.

L’iniziativa delle tre aziende si inserisce in questo contesto di sgretolamento degli spazi di libertà e di autonomia dei lavoratori; il «tempo libero remunerato» è un tempo definito e controllato: i confini, le forme, le attività della socialità sono stabilite dalle aziende stesse entro un recinto di significati, di pratiche e di regole. Così, nel momento in cui le aziende offrono questo tempo, valorizzandolo, se ne appropriano definitivamente.

Se il problema è spingere i lavoratori a prendersi il tempo di cui hanno diritto (l’articolo parte da una ricerca che mostrerebbe le difficoltà dei lavoratori stessi a chiedere le ferie per i sensi di colpa o i troppi carichi di lavoro) forse sarebbe meglio riflettere su altri temi di natura organizzativa e manageriale: definizione della mansione, carichi di lavoro, stato del clima organizzativo e soprattutto modello di leadership dominante.

Zenia Simonella