Appunti del direttore

24/02/2016 Guido Corbetta

O si cambia o si muore

Quante volte e in quanti contesti si usa un’espressione – e se ne abusa anche –, dai toni ultimativi, da ultima spiaggia. Oggi la uso anch’io a proposito delle aziende italiane. E se non tutte, di molte, in particolare di quelle medie, dai 20 milioni di euro di fatturato, che rappresentano una parte importante in termini di valore prodotto in Italia.

Lungi dal contribuire a certi facili allarmismi, bisogna riflettere sul fatto che, a partire dal 2008, delle  aziende sopra i 50 milioni di euro di fatturato, che erano 7500, il 7,7% è finito in procedure concorsuali e il 9,7% è stato oggetto di operazioni di Merger & Acquisition. E si presume, a ragion veduta, che i numeri non siano inferiori tra le aziende più piccole.

Insomma, sul campo di battaglia sono rimaste parecchie vittime, con ferite più o meno letali, e non solo per  destini avversi e funesti. Molte aziende hanno sbagliato i conti, nel senso letterale e metaforico del termine:  o perché troppo indebitate, o perché hanno sopravvalutato le proprie forze, trincerandosi in un’autosufficienza talvolta quasi stizzita e, last but not least, perché hanno affrontato male la successione imprenditoriale e manageriale.

Il contesto, nel frattempo, si è fatto ancora più complesso e il futuro appare denso di turbolenze. Credo che sia scoccata l’ora delle scelte coraggiose, in cui la componente dimensionale è quella più critica.

Mi permetto di evidenziare alcuni elementi:

  • fare acquisizioni. Si fa presto a dire, ma quali? Credo che sia meglio concentrare gli sforzi: non tante piccole operazioni, ma una-due grandi. È una questione di prudenza e di ottimizzazione delle risorse;
  • investire all’estero. L’investimento diretto all’estero è decisamente consigliabile, ma anche in questo caso c’è da chiedersi se sia proficuo puntare a più di un paese alla volta. Credo di no, se si vuole veramente fare il massimo per conquistare un mercato, che è fatto di variabili che possono incidere su modelli e metodi di approccio a quel mercato (tra l’altro, vi consiglio di guardare anche la bella data visualization pubblicata da E&MPLUS sugli investimenti diretti);
  • capitali e capitale umano. Occorre fare un seria analisi sull’opportunità di rafforzare il capitale, favorendo anche partecipazioni di private equity. Ma il capitale umano è il fattore cruciale per perseguire gli obiettivi di crescita: occorrono competenze specifiche per attuare i vari passaggi necessari a far «cambiare pelle» all’azienda e occorre anche integrare bene le competenze manageriali che servono. Non si diventa aziende capaci di operare come realtà più grandi e internazionali solo con una buona visione e un’enorme forza di volontà. O facendosi tutto in casa. Gli esempi di belle aziende che hanno superato la crisi nei settori farmaceutico, delle macchine da imballaggio e della produzione vitivinicola possono essere utili benchmark.
GuidoCorbetta